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Pietro Pistelli (storico) |
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I moti carbonari 1817 devono partire necessariamente da una data 1815, e da un evento: “Il Congresso di Vienna”. Terminato il sogno,tornano i Re dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo, e le potenze vincitrici ridisegnano l’Europa. Infatti, l’Italia con Napoleone aveva conosciuto tra tante delusioni, una parvenza di unità. Al nord vi è, infatti, il Regno d’Italia, governato dal figlio adottivo di Bonaparte, Eugenio Beauharnais, al sud il Regno di Napoli con Gioacchino Murat e al centro le terre del Papa Re, assorbite direttamente dall’Impero Francese. Un motivo significativo di questo collegamento diretto con l’impero, era quello, come disse Napoleone: “per togliere il contrasto tra il Cristo morto in croce e il suo Vicario che vuole essere sovrano”. Invece a Vienna, dopo la sconfitta di Napoleone viene la restaurazione,per una Italia ridotta a mera espressione geografica,come sentenziava il Metternich. Infatti, l’Italia si trova frammentata in dieci stati: Regno di Sardegna, Lombardo -Veneto, Ducato di Modena, Ducato di Massa, Lucca, stato della Chiesa, Regno delle Due Sicilie, Repubblica di San Marino, Principato di Monaco. Ma nemmeno questa frammentazione e il pugno di ferro della reazione riesce a spegnere il desiderio d’indipendenza e di unità nazionale. Il paese Italia è attraversato da mille fremiti e da tante società segrete. La stessa massoneria era controllata dall’Impero Francese, tanto che lo stesso Eugenio Beauharnais a essere il primo gran maestro dell’Grande Oriente d’Italia, fondato a Milano il 20 giugno 1805. Anche Gioacchino Murat era nell’orbita massonica, come primo gran sorvegliante dell’Grande Oriente di Francia, insomma questo controllo della libera muratoria spiega in parte la nascita della Carboneria che era il braccio operativo di matrice giacobina. Lo stesso Murat, come Re di Napoli cerca di unire l’Italia con il programma di Rimini e il 5 maggio del 1815 nella battaglia della Rancia a Tolentino,contro gli austriaci del generale Bianchi ottenne una grave sconfitta ma che semina il germe dell’indipendenza per le terre papaline. La restaurazione del 1815 e la Santa Alleanza diedero internazionalizzazione e diffusione del movimento. Padre quel Filippo Buonarroti che dalla terra di Svizzera teorizzava la diffusione della Vendite Carbonare, specie nell’Italia centro meridionale. Secondo rapporti di polizia il Buonarroti come agente di una compagnia di assicurazioni, attraverso i suoi ispettori fa fondare nei diversi dipartimenti, delle Vendite Carbonare. I carbonari italiani hanno un’organizzazione ispirata alle consuetudini dei vecchi carbonari del Giura, sia alla Massoneria. Gli affiliati, detti “buoni cugini”, erano divisi in apprendenti e maestri e lavoravano alla Gloria del Gran Maestro dell’Universo. La Loggia o Vendita doveva esistere in un luogo rivestito di legno e pavimento. A una delle estremità c’era un ceppo squadrato sul quale sedeva il Maestro. Nella Vendita erano sistemati alcuni oggetti: un drappo di tela, dell’acqua, del sale, un crocefisso, delle foglie d’albero, dei bastoni, del fuoco, della terra, una corona di biancospino, un gomitolo di filo, e tre nastri con i colori della Carboneria, uno blu, uno rosso, uno nero oppure una coccarda con i medesimi colori.
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Sulla parete dietro il Maestro, una serie di triangoli irraggianti. Le
riunioni si tenevano di notte in luoghi solitari. Al grado di
apprendista il candidato all’iniziazione era bendato e giurava,
sull’ascia, di mantenere i segreti sulla società e di aiutare i suoi
“buoni cugini”nei momenti d’indigenza. Al grado di Maestro l’officiante
riceveva il nome di Pilato e i suoi assistenti quelli di Caifa ed Erode.
Gli occhi del candidato che rappresentava Gesù nel corso della
cerimonia erano nuovamente bendati. Sembra che vi fossero altri gradi
superiori, duo o tre. Ebbene, la Carboneria è una fucina di moti, e dove è più cospicua la reazione più sono attive le società segrete. Primo
moto in Italia ,quello organizzato dalla Carboneria nel 1817 a Macerata
e Monte Lupone, nel 1820 a Nola, Avellino, Napoli e Milano, nel 1821 a
Torino e nel 1831 a Modena. La Carboneria era infatti divisa in
sezioni delle Vendite composte almeno di 11 cugini, persone di ogni
condizione sociale tra cui nobili, ufficiali, magistrati,
professionisti, impiegati, possidenti, commercianti, artigiani e anche
sacerdoti. Obbiettivo della Carboneria, la liberazione dell’Italia da
ogni servitù interna ed esterna . Qualsiasi forma di regime poteva
essere utilizzata, sia monarchica che repubblicana, sia unitaria che
federale. Alla base una costituzione. Unico nemico, l’assolutismo. Fin
dalla primavera del 1817 i capi della Carboneria cominciarono a capire
che per fare la rivoluzione, era necessario prepararla accuratamente,
disciplinando, intensificando con medesima fine tutte le attività delle
Vendite che fino allora, avevano manifestato un’azione slegata e senza
un unico indirizzo. Primo esempio di questo nuovo indirizzo è stato il
moto carbonaro del giugno 1817 a Macerata e nel vicino Comune di Monte
Lupone. Infatti, verso la fine del 1816 iniziarono a circolare
obiettivi insurrezionali con gli affiliati delle Vendite di Fermo e di
Macerata e il Centro Guelfo di Sant’angelo in Lizzola e di
Monteciccardo. Questultimi in collegamento con il Centro Guelfo di
Bologna. Nel 1817 nei primi mesi, approfittando di una grave malattia
che aveva colpito il papa Re ,Pio Settimo,il Gran Maestro della Vendita
di Fermo Paolo Monti e Michele Manlio capo sezione della Prefettura di
Ancona, studiarono un piano d’insurrezione e lo mandarono al Centro
Guelfo di Bologna. Infatti, si era tenuta a Bologna una riunione
segreta nel palazzo Hercolani sede del Centro Guelfo,tra le associazioni
segrete fiorite negli anni napoleonici, la massoneria ufficiale, il
circolo popolare, la Loggia Illuministica e il centro direttivo dei
raggi che cospirava per l’indipendenza e l’unità d’Italia, e s’irradiava
specialmente nelle Marche, Lombardia e Piemonte. Tutte queste
associazioni fanno dire al legato pontificio Spina, in una conversazione
con il Cardinale Consalvi, che Bologna era la bussola di tutte le
operazioni. In questo contesto appare interessante la figura di
Costantino Munari, un ex giacobino e un ex deputato del Basso Po, il
quale incaricato di redigere un progetto di fusione tra la Guelfa e la
Carboneria. Il testo unitario prende il nome di Costituzione Latina,
con la Carboneria e il Guelfismo uniti in una sola società, in qui la
Carboneria è il corpo e il Guelfismo è la mente. In dettaglio il piano,
riguardava un’esecuzione che doveva partire da Macerata, capitale della
Legazione Marchigiana dello Stato Pontificio. In un giorno da
stabilirsi, dovevamo affluire a Macerata, dalla Provincia e specialmente
da Monte Lupone e San Ginesio, bande di rivoltosi che con l’aiuto dei
carbonari maceratesi, dovevano impadronirsi della città maceratese, e
disarmando le truppe papaline, arrestando le autorità. Alla plebe, al
popolo affamato si doveva concedere il saccheggio delle case dei
reazionari. Secondo il piano la rivolta da Macerata si sarebbe propagata
nelle altre parti delle Marche, specialmente a Fermo, Ascoli Piceno e
da Monte Lupone verso Ancona la quale era collegata con Pesaro tramite
Sant’Angelo in Lizzola e Monteciccardo, un nuovo governo indipendente
con l’abolizione dell’imposta sul “macinato” e con la riduzione del
prezzo del grano, del vino e dell’olio. La congiura stava montando,ma
nel collegamento tra le varie vendite e con il Centro Guelfo di Bologna
alcune notizie compromettenti erano captate dalla Polizia Pontificia, la
quale aveva inserito delle spie, che erano in possesso di cifrari e
parole d’ordine e frasi e segni convenzionali tipici della Carboneria e
delle varie sette segrete. L’insurrezione vera e propria doveva
scoppiare la notte di San Giovanni e già un proclama era già pronto per
essere lanciato alla popolazione. Esso diceva:”Popoli Pontifici Voi
soffriste già abbastanza:la peste e la fame termineranno di mietere le
vostre vite, e quelle dei vostri figli, se ancora tardate a porvi
riparo. Agli armi dunque, agli armi. Sia la vostra divisa l’amor della
Patria, carità per i vostri figli.
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Abbattere i despoti, obbligare i
doviziosi, e soccorrere gli indigenti sia solo vostro oggetto. Voi non
avete che a mostrarvi, e l’ordine e la giustizia trionferanno. La storia
vi prepara un eminente grado fra gli eroi. Popoli agli armi, viva solo
chi ama la Patria, chi soccorre gli infelici. Si sono uniti a questo
partito i popoli delle Marche e della Romagna. Fin dalla scorsa sera
hanno abbracciato il progetto. E voi, popoli ciechi dormite?” I
congiurati della provincia dovevano, durante la notte dal 23 al 24
giugno del 1817, radunarsi presso i monasteri delle Vergini e di Santa
Croce, quindi dovevano recarsi alla porta dei Vecchi Cappuccini,vicino
Palazzo Cioci,attiguo alla Chiesa di San Giorgio, assalirla e, aiutati
dai compagni di dentro, penetrare a Macerata. Pochi si trovarono al
luogo stabilito e questi pensavano già di sciogliersi, quando uno di
loro sparò due colpi di fucile contro le sentinelle pontificie. I colpi
andarono a vuoto, ma diedero l’allarme e a quel punto i congiurati si
dispersero. Il tentativo sarebbe passato inosservato, se il mattino
seguente copie del manifesto rivoluzionario non si fossero trovate
affisse in parecchie città, come ad Ascoli, Tolentino, Foligno,Urbino
,Pesaro,Osimo,Ancona,Sant’Angelo in Lizzola ecc. Allora il governo
ordinò che fossero fatte delle perquisizioni; queste portarono alla
scoperta di altri manifesti e provocarono l’arresto di parecchie
centinaia di persone. Fra essi, anche nobili,possidenti,tipografi,
notai,segretari comunali, ingegneri. Il processo si chiuse
nell’autunno del 1818 con tre sentenze, una dell’8 ottobre, la seconda
del ventiquattro dello stesso mese e la terza del 5 novembre. Dei
trentasei imputati: undici e cioè il Papis, il Gallo, il Carletti, la
Riva, il Castellano, il Pierangeli, il Davilli, lo Scarponi, il Panelli,
il Filippucci e lo Zucchi, furono condannati alla pena di morte;
dodici- Antonio Cottoloni, Pio Sampaolesi, Vincenzo Fattiboni, Nicola
Mei e Vincenzo CIngolani, entrambi di Monte Lupone, Torello Cerqueti di
Montecosaro, Francesco Cani e Giuseppe Lupidi di Montolmo, Giuseppe
Tamburini di Macerata, Vincenzo RInaldi di Ancona, Felice Jozzi di
Filottrano e Camillo Meloni di Forli, alla galera a vita;sette, e cioè
Francesco Molinelli detto Francino,Luigi Fioretti detto Montegranaro,
Sante Palmieri, tutte e tre di Macerata, Luigi Amadei di Loreto
Francesco Possano, corso domiciliato in Ancona, Francesco Aubert e
Filippo Lattanzi di Ascoli Piceno, a dieci Anni di galera; Giulio Cesare
Brescia di Ascoli a sette anni di prigione e Francesco Pieri, di Ascoli
Piceno anche lui , a cinque. I moti, nonostante la forte repressione
continuarono negli anni successivi sempre con scarsi risultati. Nel
1821 insorgenti maceratesi, con l’aiuto dei romagnoli, conquistarono
pacificamente la città ma la reazione popolare ,ancora non matura
,provoca il reintegro del dominio pontificio. Seguirono i moti del 1848
con Repubblica Romana e la costituzione a Macerata della Legione
Garibaldina da parte di Giuseppe Garibaldi quale fu eletto deputato alla
costituente romana,in rappresentanza dell’intera provincia.
Successivamente la legione garibaldina ottenne la vittoria contro i
francesi sul Gianicolo a Roma il 30 aprile 1949, dedicata per
riconoscenza, da Garibaldi a Macerata. Poi le sconfitte dei
repubblicani contro i francesi,l’ingresso delle truppe austriache nelle
Marche,l’assedio di Ancona e di nuovo il dominio del Papa-Re. Bisognerà
attendere la battaglia di Castelfidardo del settembre 1860, per
assistere alla definitiva sconfitta dell’esercito pontificio e per la
realizzazione del sogno dei carbonari maceratesi,che doveva iniziato la
notte di San Giovanni, il 23 giugno 1817. |
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“Sette, cospirazioni e cospiratori nello Stato Pontificio all'indomani
della Restaurazione : l'occupazione napoletana, la Restaurazione e le
sette” Domenico Spadoni. - Roma ; Torino : Casa editrice nazionale Roux
& Viarengo, 1904. “Il Governo pontificio e i primi processi carbonici marchigiani, in Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria delle Marche” serie III, voi. II (1916-17), pp. 288-329.
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26/01/2018 13:37:18 |
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