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Diego Antolini |
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Cronache Maceratesi dello scorso 22 novembre pubblica un articolo sulla ormai gravissima crisi "a catena" del sistema bancario Italiano. In particolare ci si riferisce a Nuova Banca Marche, poi Banca Adriatica e ora Ubi Banca. Il tribunale di Milano – confermando una decisione identica del tribunale di Ferrara – diventa legittimata passiva a ricevere le richieste di risarcimento danni da parte degli azionisti di BM. I risparmiatori dovranno quindi citare in giudizio la banca e non gli ex amministratori che non sono solvibili per l'ammontare del denaro "scomparso". L'Adiconsum Marche si era attivata due anni fa in sede civile chiedendo il risarcimento nei confronti di Nuova Banca Marche, l'unica associazione ad averlo fatto finora. E la decisione del tribunale di Milano sembra avergli dato ragione. L'onorevole Piergiorgio Carrescia porta in Parlamento un'interrogazione al ministro delle Finanze chiedendo come mai i crediti di Banca Marche durante la risoluzione bancaria del 2015 siano stati sottovalutati, portando come documentazione la stima di Ubi Banca che ha stimato l'entita' del rischio in modo molto piu' cauto (i maggiori accantonamenti allora imposti a Banca Marche oggi sono stimati in 1.4 miliardi di euro). Allora – si chiede l'On. Carrescia – a cosa e' dovuta questa differenza nella valutazione dei crediti delle tre banche?
Ma di "sviste" del genere ce ne sono state diverse negli ultimi anni, troppe per continuare a credere in un errore umano. "Malgestione" o presunta "frode" da parte degli amministratori? Le ipotesi in questa fase delle indagini sono innumerevoli, ma certo è che esiste un filo che attraversa anche la cronaca internazionale: nel settembre del 2014, Reuters scrive:
"Un piano di salvataggio per una piccola banca, che era stata messa in amministrazione speciale lo scorso anno, molto probabilmente comprenderà il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi a garanzia dei crediti “in sofferenza” per circa 800 milioni di euro, ha detto domenica il Sole 24 Ore. Il piano di rilancio prevede anche un aumento di capitale di 1 miliardo di euro, che può essere sottoscritto da Credito Fondiario per il 30-40%, aggiunge il giornale”
Si legge su Bankpedia che
“Il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, costituito nel 1987 nella forma di consorzio volontario, è oggi un consorzio obbligatorio di diritto privato, riconosciuto dalla Banca d’Italia, la cui attività è disciplinata dallo Statuto e dal Regolamento. Scopo del Fondo è quello di garantire i depositanti delle Banche consorziate. Queste ultime si impegnano a fornire le risorse finanziarie necessarie per il perseguimento delle finalità del Fondo. Con il D. Lgs. n. 659/96 (pubblicato sulla G.U. del 27 dicembre 1996 ed in vigore dall’11 gennaio 1997) è stata recepita la Direttiva n. 94/19 CE, relativa ai sistemi di garanzia dei depositanti. In virtù della previsione contenuta nell'art. 96 del D.Lgs 1° settembre 1993 n. 385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), è stato introdotto il principio dell'adesione obbligatoria ad un sistema di garanzia dei depositanti. Aderiscono così al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi tutte le banche italiane (circa 300), ad eccezione di quelle di credito cooperativo aderenti al Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo.”
Due anni dopo, dicembre 2016, è sempre Reuters a scrivere che:
“Il Parlamento ha autorizzato l'aumento fino a 20 miliardi del debito pubblico per salvaguardare la stabilità del sistema bancario italiano, a partire da Banca Mps.”
Questa operazione, varata nel tentativo di rimettere insieme i “cocci” di banche ben più importanti, apriva anche ad un revival dell'assistenza governativa ad un sistema privatizzato da decenni. E la reazione a catena avrebbe toccato anche Popolare Vicenza, Veneto Banca, Carige e le quattro banche nate dalla risoluzione di Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e CariFerrara.
Un'intervento dello Stato così massiccio, praticamente a coprire l'intero sistema bancario nazionale, può essere compreso e giustificato dal bisogno di tutela dei risparmiatori? O c'è dell'altro? Il debito pubblico è definito come l'ammontare del debito che un Paese ha nei confronti di creditori esterni (individui, aziende o altri governi), o il risultato di anni di spese da parte dei leader di una nazione in eccesso rispetto agli introiti derivanti dalle tasse. Il debito pubblico ha i suoi pro e contro. Se controllato e, soprattutto, mantenuto per un periodo relativamente breve, è un modo per incamerare fondi extra da re-investire nella crescita economica del Paese (Infrastrutture, lavoro, educazione, pensioni). Investitori stranieri possono investire in questo processo di crescita attraverso l'acquisto di Bond (che è molto più sicuro rispetto a un investimento diretto o a un investimento in aziende iscritte in borsa). I cittadini sono incoraggiati a spendere di più invece che a risparmiare, e così il capitale circola.
Ma se un governo aumenta il debito pubblico per acquistare (o riprendere) il proscenio di fronte agli elettori, cioè senza collegare tale aumento con un piano preciso di crescita economica, la cosa prende un altro aspetto. Gli investitori stranieri prendono come riferimento del rischio l'output economico di quel Paese, cioè il suo PIL. E' sul rapporto Debito Pubblico-PIL che si misura il grado di rischio, o la probabilità che ha quella nazione di ripagare il debito. Se il debito pubblico raggiunge il punto di criticità gli investitori chiedono un tasso di interesse più elevato contro il rischio (concreto) di insolvenza dello Stato. Di conseguenza i Bond di quello Stato possono perdere punti S&P. A tassi di interessi più elevati diventa sempre più difficile per un governo rifinanziare il debito, con l'ulteriore conseguenza che gli introiti nazionali vengono impiegati a ripianare i debiti piuttosto che nei servizi ai cittadini. In ultima analisi, se le figure estere percepiscono un rischio troppo alto, possono causare l'arresto economico del Paese debitore. L'Italia nel 2016 aveva un debito pubblico pari al 132.60 % del suo PIL, il più alto in assoluto dal 1988 (nel 1995 e nel 2007 gli unici anni di riduzione del debito), per una quasi totale escalation continua che non è sempre coincisa con visibili miglioramenti dello standard di vita degli Italiani.
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Alla luce di questi dati, è legittimo chiedersi se un aumento del debito
pubblico Italiano solo per salvare le banche sia la scelta giusta, a
fronte, magari, di un piano di riforma del sistema bancario tout court
o, al limite, di un programma attrattivo per gli investitori stranieri
(pressione fiscale light ma obbligo di impiego di una percentuale
importante di lavoratori Italiani o la conpartecipazione a progetti
utili per la comunità, ad esempio)?
Il filo continua a
distendersi e, negli ultimi mesi del 2017, il giornalista Gianluca
Paolucci lo tira a sé con un focus particolare su Banca Marche. Due
articoli a distanza di poco piu' di un mese l'uno dall'altro e che
svelano molti dei retroscena che hanno portato al crac di BM. E' già
nel 2006 che le varie ispezioni all'istituto bancario segnalavano
anomalie nella gestione del credito. Poi, quando c'era da comminare
sanzioni, tutto veniva coperto e le cose tornavano al loro posto, cioe'
le “anomalie” proseguivano. Nel dicembre 2011 la Consob scrive alla
Banca d'Italia per ricevere informazioni. BM aveva appena depositato il
prospetto per un aumento di capitale da 180 milioni di euro. Consob
chiede l'acquisizione di ogni elemento utile. Il 28 dicembre la Banca
d'Italia invia una lettera alla Consob con i dati su Tier 1 e sul Total
Capital Ratio, precisando che BM presenta un'eccedenza di capitale
“consistente rispetto ai requisiti minimi”. Poi pero' la lettera
prosegue dicendo che le valutazioni della Banca d'Italia sono in corso
per quanto riguarda delle lacune che BM presenta, comprese iniziative
per rimuoverle. C'era quindi consapevolezza da parte di Bankitalia che
qualcosa non andava, ma anche ottimismo su una “sanatoria” che avrebbe
rimesso l'istituto marchigiano in carreggiata. Ma allora perche' nemmeno
quindici giorni dopo – il 9 gennaio – il governatore scrive al
management di Banca Marche lamentando che gli impegni presi “vanno nella
giusta direzione ma non sono soddisfacenti”? Le anomalie continuano ad
esistere e gli interventi finanziari promessi non sembrano essere
realizzabili vista la condizione finanziaria della banca. Nel 2012
gli ispettori di Bankitalia intercettano due assegni intestati a BM da
160mila e 99mila euro cambiati in 52 assegni da 5mila euro e versati su
un conto del dg Massimo Bianconi. Il vice direttore generale Luigi
Federico Signorini invia una lettera molto dura alla banca marchigiana
affermando che le operazioni denunciate dagli ispettori sono
incompatibili con la deontologia professionale di un alto dirigente di
banca e impone di convocare un cda per identificare un nuovo manager.
Bianconi viene di fatto messo alla porta. Ma non solo i vertici
aziendali, anche i funzionari di filiale in Banca Marche avrebbero avuto
la possibilità di tagliarsi la loro “fetta di torta” quando si trattava
di concedere crediti alle imprese. Va da se' che i crediti venivano
dati in modo indiscriminato, senza garanzie e troppo frequentemente
rispetto alla “statura finanziaria” di BM. Per molti prestiti, finiti
poi in sofferenza, i singoli funzionari potrebbero aver incassato la
loro percentuale? Dagli atti dell'inchiesta sul crac della banca
emergono dettagli che vengono rivelati dagli stessi manager che, per
limitare i danni, cominciano il classico gioco dello scarico delle
responsabilità sui colleghi.
Quello che appare subito chiaro – e
non riguarda solo il caso BM – è che si tratta di un sistema consolidato
basato su spostamenti di capitale, capitali "gonfiati", capitali
"divisi" in frazioni più piccole ma destinati sempre, per vie traverse,
alle stesse persone. Quel dirigente avrebbe profittato sulle
sponsorizzazione alla proloco che presiede; il revisore si sarebbe
ritagliato una "commissione" sul commerciante che ha chiesto il
finanziamento; il funzionario che si lamenta perchè i clienti li riceve
direttamente il superiore – meno lavoro o meno "commissioni"?
Nel 2014 lo stesso Bianconi avrebbe provato a riacquistare BM facendo da intermediario al fondo Colony Capital di Tom Barrack. Banca
Marche viene messa in risoluzione a novembre del 2015 insieme a
Etruria, Carife e CariChieti, ma i numeri dicono le la prima, da sola,
valeva quanto le altre tre messe insieme. Fino ad oggi tutti i
potenziali compratori si sono ritirati, a riprova del fatto che il
sistema bancario in Italia, ad oggi, non è un "porto sicuro" per gli
investitori.
Nel suo secondo articolo Paolucci sottolinea la
discrepanza tra due comunicazioni riguardante Banca Marche: la prima,
inviata da Bankitalia alla Consob, informa che in seguito alle
segnalazioni degli ispettori BM avrebbe preso impegni di risanamento del
credito e che la Banca d'Italia li stava valutando; ma nella seconda
lettera, sempre Bankitalia scrive che "gli impegni non sono sufficienti"
e deve essere fatto di più. Il tutto in poco più di una settimana (tra
fine dicembre 2011 e i primi giorni di gennaio 2012). Per Bankitalia
non c'è contraddizione in quanto l'aumento di capitale viene chiesto da
Bankitalia e la Consob, che autorizzò la pubblicazione del prospetto
informativo, era stata sinteticamente informata in quel fine dicembre
2011 sull'esito delle tre ispezioni, e che poi la Vigilanza aveva
chiesto a BM ulteriori interventi correttivi a gennaio 2012.
Quello
che la Consob lamenta a Banca Marche è di non aver comunicato alla
Commissione la lettera di Visco che conteneva informazioni che sarebbero
dovute essere inserire nel prospetto. Anche perchè in quel
limitatissimo periodo di tempo (che includeva le festività natalizie) le
cose non potevano essere cambiate così tanto. L'aumento di capitale
richiesto si perfezionò nei mesi successivi con 30mila soci che
sottoscrissero le nuove azioni. Dopo la risoluzione, questo divenne una
delle principali accuse contro gli ex vertici. Barbara Cavalo,
sostituta procuratrice di Ferrara, aveva parlato di "vuoto normativo" in
relazione alla comunicazioni tra Consob e Bankitalia, come a dire che
se non c'è una legge che disciplina tali fattispecie, non si può
intervenire?
Sabato 13 gennaio Cronache Maceratesi informa che i
PM di Ancona hanno chiesto 4 anni per Massimo Bianconi con l'accusa di
"corruzione tra privati". Bianconi d'altra parte avrebbe smentito
tutto davanti al GUP e, com'è suo diritto, avrebbe difeso la sua
posizione (“Io nessuna colpa, firmavo e basta, ci pensava il mio vice” o
“Che colpa ne ho se mia moglie è miliardaria, inoltre sono in
disaccordo con lei”), come e' emerso dalle cronache di questi giorni. E'
proprio sul giornale online marchigiano che Marco Ricci sale alla
ribalta con la sua indagine su BM, replicata poi a
Report l'8 maggio 2017. Ricci ha ripercorso le dieci posizioni di “bad
management” per l'ammontare di 850 milioni di euro e che hanno portato
al crac di Banca Marche:
“Abbiamo il Gruppo Lanari, costruttori
anconetani molto importanti, 250 milioni; il Gruppo Santarelli di
Ascoli, un altro costruttore, 140 milioni; la Polo Holding di Fano, di
nuovo costruttori, 130 milioni di euro; poi i gruppi Casale e Degennaro
per un complesso di 100 milioni; Gruppo Ciccolella, che sono dei
vivaisti pugliesi, più o meno, 80 milioni; più altri 60 milioni il
gruppo Mulazzani Italino di Rimini, sempre un gruppo edile; un altro
gruppo di Fano, il gruppo Mattioli, 50 milioni di euro; 30 milioni di
euro al gruppo riconducibile a un commercialista anconetano, ex
consigliere regionale, Franco Sordoni: più 17 milioni di euro ad esempio
ascrivibili al gruppo di Mazzaro Canio, conosciuto perchè ex marito di
Daniela Santanchè, nelle cui società trovi come consigliere di
amministrazione Cirino Pomicino, piuttosto che il figlio di Massimo
Bianconi."
Scenario da brivido, e nemmeno il peggiore se si pensa
che BM era considerata una “piccola banca”. Ma il dato che emerge
dall'intervista a Ricci è che la maggior parte delle società che
ricevevano affidamenti “con pochissimo patrimonio o senza alcun
patrimonio” sarebbero società di costruzioni, cioè fanno parte di un
settore essenziale per la crescita economica di un Paese.
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22/01/2018 01:39:02 |
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