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Maurizio Verdenelli |
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Il carceriere che voleva salvare il presidente della Dc, morto 11 prima di Filippo Bartoli, il proprietario della R4 rossa. La testimonianza del suo compagno di lavoro all’Istituto Stampi di Reggio Emilia
Il giorno che seppi (diffondendone la notizia in esclusiva nazionale) della morte di Filippo Bartoli, il proprietario della R4 rossa dove la mattina del 9 maggio 1978, tra i civici 8 e 9 di via Caetani tra la sede della Dc e quella del Pci fu trovato il corpo crivellato di proiettili del Presidente della Dc, Prospero Gallinari era morto un paio di settimane prima. Il carceriere di Aldo Moro, colui che conduceva e ne verbalizzava l’interrogatorio, colui che insieme con Valerio Morucci aveva tentato di salvarne la vita, era deceduto improvvisamente il 14 dicembre di quello stesso mese di dicembre del 2013. Fu Venanzo Ronchetti, il sindaco ‘del terremoto’ (a Serravalle di Chienti) della cui biografia (‘Il ragazzo e l’altopiano’ Ilari editore) stavo scrivendo a raccontarmi della fine di Bartoli, la cui vita era stata stravolta da quella auto che i brigatisti gli aveva rubato a Roma per farne la ‘bara’ del ‘prigioniero’. Eravamo a cena alla ‘Botteguccia’ di Colfiorito, sull’altopiano ad un paio di chilometri appena dalla villa di Dignano dello stesso Bartoli dove si era spento, dirimpetto ad un’altra villa, quella del celebre professor Giuseppe Giunchi, il medico di Aldo Moro. Che, circa cinquant’anni prima, aderendo all’invito di Giunchi, allora sindaco di Serravalle, aveva fatto tappa nel paesino maceratese (viaggiando alla volta del paese della moglie, Montemarciano) per inaugurare il monumento alla Resistenza, accompagnato dal suo fidatissimo maresciallo Oreste Leonardi, il suo caposcorta ucciso nell’agguato di via Fani quaranta, ed un giorno, anni fa. Prospero Gallinari che nel 2008 aveva già scritto un libro piaciuto molto ed elogiato da Erri De Luca: “Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse” era tornato a scriverne un altro in quello stesso anno, edito il 9 maggio del 2013, a 35 anni esatti dall’uccisione, presentandolo poi nella ‘sua’ Reggio: “Ho sentito Aldo Moro che piangeva. Diario apocrifo di Prospero Gallinari”. La firma? Edmond Dantes, alias il leggendario e letterario Conte di Montecristo, colui che nel romanzo di Dumas padre torna a vendicarsi dei torti subiti. Il destino volle che dopo aver cenato alla Botteguccia e salutato Ronchetti, mi fossi recato a San Severino Marche, dall’amico Alberto Vitali, gerente del ristorante LK a Parolito e che lì trovassi, ospite abituale nel periodo natalizio, Marcello Di Dio, da Reggio Emilia, amico e compagno di lavoro (all’Istituto Stampi che produce la carta argentata per i Baci Perugina e i cioccolatini Ferrero, tra gli altri) di Gallinari. Parlando di Filippo Bartoli e di Moro, con Marcello (con Alberto era stato commilitone) il discorso subito cadde sul ‘carceriere’.
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Mi disse Di Dio: “Prospero era stato rimesso in libertà a condizioni che
evidentemente lui conosceva benissimo. Del suo passato non parlava.
Rigorosamente. Era una persona dolcissima, curata nel parlare, molto
colto. IL contrario dell’immagine stereotipata del brigatista ‘assetato
di sangue’. Uscito dal carcere, lavorava come magazziniere da 18 anni
alla ‘Stampi’ (75 operai) schivava ogni coinvolgimento sindacale, ed
aveva sempre stoppato chi artatamente cercava di prenderla ‘da lontano’
per conoscere i terribili segreti che teneva serrati dentro di sé come
‘Il Principe Ignoto’ della Turandot: capiva subito dove questi voleva
andare a parare. Diceva: sono riservato anche per tutelarvi. Pure con me
era riservatissimo pur lavorando fianco a fianco ed essendo vicini di
casa: le nostre abitazioni distavano appena duecento metri. Lui abitava
in un appartamento popolare con la compagna che lui chiamava troncandole
il nome: ‘Giava’, un’ ex compagna di lotta. Io capivo perfettamente la
sua posizione e non tentavo minimamente di forzare il suo ‘scrigno’ di
segreti, dell’uomo che in quei 55 giorni più di altri, più dello stesso
capo Mario Moretti, era stato vicino al Presidente che avrebbe dovuto
rivelare le ‘malefatte’ di tanti governi democristiani. Quando uccisero
Moro (che lui aveva tentato di salvare) nel garage del palazzo di via
Montalcini, lui era in un angolo. Pianse. Prospero me lo rivelò. Nei tre
anni nei quali abbiamo lavorato insieme, lui si era limitato talvolta a
dirmi che le BR, da sole, non sarebbero state in grado di portare a
buon fine né l’agguato, né le successive fasi intorno alla ‘Prigione del
Popolo’. Potevano insomma contare su aiuti esterni capaci di garantirne
il ‘nascondimento’. Gallinari, il militante delle BR, nel ‘lanciare’
il suo primo libro del 2008 aveva testualmente dichiarato: “Il
sequestro Moro volta una pagina della nostra storia. Lo sapevamo prima
di arrivare in via Fani e lo capiamo ancora più adesso davanti allo
scontro chiuso senza mediazioni”. Poi quel ‘Diario apocrifo’, cinque
anni dopo, presentato in una libreria a Reggio Emilia. Chiesi a Marcello
Di Dio: ‘C’era molta gente?’. “Assolutamente no, due decine scarse di
persone e c’eravamo noi compagni di lavoro, i più stretti, che
acquistammo una copia a testa, che lui ci autografò. Sembrava che del
caso, di una testimonianza così vicina e straziante (“Ho sentito Aldo
Moro che piangeva”) non importasse più ad alcuno”. ‘Com’è morto Gallinari?’. “La
mattina del 14 dicembre (tredici giorni prima di questo dialogo ndr)
alcuni automobilisti videro la Ford Fiesta rossa di Prospero contro un
muretto ai fianchi della strada che dalle nostre case portava alla
fabbrica la facevamo abitualmente ogni giorno. Giaceva alla guida,
fulminato da infarto. Inutili ogni tentativi e il trasporto in ospedale.
In fabbrica sapevamo tutti che era cardiopatico e che qualche anno
prima si era sottoposto ad un intervento all’ospedale di Reggio,
tuttavia ci fu una ‘cosa’ strana…”. Quale? “Quando quella mattina
arrivò dunque la tristissima notizia (‘Prospero è morto’) noi, i più
stretti amici, ci tennero ‘blindati’ rispetto ai giornalisti che
arrivavamo a sciami. Non ci fecero parlare con nessuno. E il giorno
quando leggemmo su tutti i giornali quell’unica versione: che cioè
Gallinari era stato trovato morto nel suo garage, quasi non ci facemmo
caso tanto eravamo addolorati per la morte del nostro compagno di
lavoro. Non facemmo caso al fatto che quella ‘notizia’ strideva
maledettamente con quella che sapevamo per sicuro: perché c’era quella
difformità circa sulla fine di Prospero?” Già perché quella ‘versione
unica’ sulla morte dell’ex militante della BR che aveva sentito Aldo Moro piangere nella ‘Prigione del Popolo’, che amava
scrivere e ricordare, seppure, su un ‘diario’ apocrifo? Il giornalista
Antonio Ferrari ha conteggiato almeno otto decessi ‘precoci’ di
testimoni e protagonisti di una vicenda al centro dei misteri d’Italia
del dopoguerra. In una delle sue ultime interviste, Prospero
Gallinari dichiarò: “Noi, attraverso il sequestro Moro, chiedevamo un
riconoscimento: quello di un gruppo che faceva politica, seppure con le
armi. E nessuno, poi, si è voluto chiedere perché tutto questo nasceva
ed emergeva da una società come quella di allora”. Ai suoi funerali
intervennero Renato Curcio, il fondatore delle BR,, Barbara Balzerani,
Oreste Scalzone, Sante Notarnicola, Raffaele Fiore, Loris Tonino Paroli.
Mandò un messaggio dal carcere Mario Moretti. Fiori e corone furono
sostituite, su richiesta della famiglia, con donazioni ad Emergency. |
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17/03/2018 07:10:04 |
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