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Maurizio Verdenelli |
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Rinvenute lettere nelle quali il letterato chiedeva notizie sul famoso giocatore treiese del Bracciale. Il prof. Alberto Meriggi, autore della indagine: “Giacomo utilizzò la fama del n.1 dello sport più popolare per lanciare messaggi, facendo breccia nella società d’allora”.
Un’eccezionale scoperta letteraria emerge dai poderosi archivi dell’Accademia georgica di Treia che s’affaccia sull’Arena dove fu Cannibale (nel senso attuale: di vittorie) il Campionissimo amato dal Giovane Favoloso. Per poi irrompere in tutti i ‘campi’ del Centro Italia. “La vuol sapere una cosa? L’unico ritratto di Carlo Didimi si trova a Perugia, dove esisteva un’Arena più bella anche di quella maceratese (di cui resta solo mezzo muro visibile dalle scale mobili). L’immagine di lui –olltre che fortissimo era di bell’aspetto e nobile e patriota - è stata formata in base alla descrizione di Augusto Pettarelli, segretario della storica istituzione treiese” dichiara il professor Alberto Meriggi, autore in collaborazione con Ivano Palmucci del prezioso rinvenimento di alcune lettere. Grazie alle quali Giovanni Mestica, apirese risolse “in via risolutiva” la spinosa questione della dedica al Didimi della canzone leopardiana ‘A un vincitore nel pallone’, di cui il poeta non aveva mai infatti mai segnalato l’identità” dice Meriggi. Che alla questione ha dedicato un capitolo all’interno del libro “Per non dimenticare: Mariotti e Mestica all’ombra di Leopardi” a cura di Francesco Musarra (grande amico di Roberto Benigni, che ad Apiro apprezzò qualche anno fa paese e ciauscolo), Gilberto Piccinini, Nadia Sparapani e Pacifico Ramazzotti. Tutto nasce dal ‘corrispondente’ della Georgica, il celebre Mestica che da Palermo dove insegnava, scrisse una prima lettera, il 19 aprile 1883 al Pettarelli per chiedere notizie su un certo Didimi, giocatore di pallone: girava infatti allora nell’ambiente letterario italiano il gossip che Leopardi avrebbe dedicato a questo atleta, celebre mezzo secolo prima, una poesia. “Queste notizie –scrisse il Mestica- occorrono per parlare di una poesia scritta probabilmente per lui. Ho scritto al prof. Didimi ma non ho avuto risposta, forse egli non ricevette la mia lettera che diressi a Campobasso (risultò proprio così ndr)”. “Fatemi il piacere di raccogliere quelle notizie che potete e in particolare data della nascita e della morte, sua fattezza, condizione della famiglia…”. E soprattutto, il Mestica chiede, …”il tempo in cui giocò a Recanati (credo fra il 1820 ed il 1824)…”. La questione era centrale per capire se il Giovane Favoloso avesse avuto diretta contezza di Didimi per poterne poi fare il dedicatario di quella che sarebbe stata una dei suoi componimenti lirici più noti (e di recente tradotti anche negli Usa). Anche l’informazione sui tempi recanatesi, come vedremo, fu fonte di equivoco sviando in un primo momento l’indagine. Scrive Meriggi: “Il dono straordinario che inconsapevolmente Mestica ha fatto a Treia e a tutti gli appassionati del mondo del bracciale, sta nella risposta del 27 aprile di Pettarelli. Una risposta che rappresenta il documento più prezioso che abbiamo su Carlo Didimi: “Bello e aitante nella persona, manifestò singolare attitudine nella ginnastica, sicchè egli era valente giocatore di bigliardo ma nel giocare al pallone emulò e superò i più distinti del suo tempo…”. E più avanti: “Non ho potuto avere una fotografia del Didimi perché smarrita e mi riesce difficile addittarvene le fattezze”. Eppure Pettarelli l’aveva conosciuto, e il campione era morto appena sei anni prima, nel 1877, di quella lettera in Sicilia e il segretario della Georgica era già anziano. Infatti più avanti scrive così al Mestica: “Egli era alto e snello, di colorito vivo, fronte poco spaziosa, occhio castagna chiaro, naso alquanto aquilino, mento rilevato, assai gentile nelle maniere. In volto non ha mai tenuto barba. Benchè di natura risentito, manteneva viva l’amicizia. Non era molto istruito”.
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Dalla nobile Casilde Broglio aveva avuto inoltre 6 figli, 4 femmine, 2 maschi. Ma
alla domanda cruciale del Mestica se Didimi avesse giocato a Recanati
prima del 1821, cioè prima dell’anno della stesura della canzone “Ad un
vincitore nel gioco del pallone”, Pettarelli rispose che a lui risultava
che vi avesse giocato prima del 1827. Ed ecco il giallo ‘leopardiano’
che rischiò di ingarbugliare tutto. Mestica infatti risponde, il 22
maggio 1883, …se il Didimi in Recanati giocò a pallone per la prima
volta nel 1827 la poesia non può applicarsi a lui: bisognerebbe che vi
fosse stato a giocare tra il 1819 e il 1824 circa”. Sottolinea Meriggi:
Mestica dunque in un primo momento escluse la possibilità della dedica a
Didimi. A 62 anni dalla stesura della poesia non vi era dunque certezza
della dedica che pure negli ambienti letterari di Palermo era al centro
del dibattito. Mestica però qualche dubbio circa la solidità della
testimonianza ‘recanatese’ del segretario della Georgica, lo nutriva:
tra il 1818 e il 1824 erano stati infatti numerosi i derbies nel gioco
Bracciale tra Treia e Recanati, con Didimi presente. Così
l’investigatore andò in fondo. Ed ebbe ragione. Ricorda ancora Meriggi:
“Il professor Adamello Promisqui, corrispondente della Gazzetta dello
Sport, nel 1978, nel centenario (con un anno di ritardo) della morte del
Didimi, mostrò volantini che pubblicizzavano partite giocate a Recanati
dal campionissimo. Tutto ciò, seppure ex post, è andato nel tempo a
confermare ciò che intanto era oggetto dell’indagine del Mestica: senza
di lui comunque nessuno avrebbe osato accostare il nome di Didimi a
Leopardi. A me il carteggio tra il grande apirese a Palermo e il
Pettarelli mi aprì gli occhi e mi buttai a capofitto sulla fonte delle
certezze di quella dedica, che peraltro restava improbabile dopo la
lettera del segretario treiese. Così scoprii che il Giovane Favoloso era
un appassionato del Pallone e vi aveva fatto riferimento più volte
nelle sue opere. Un esempio: nelle Operette Morali, il Dialogo d’Ercole e
di Atlante”. Una passione che regnava a Casa Leopardi: Luigi, un altro
fratello di Giacomo, era morto nel 1828 per un incidente di gioco nel
Bracciale! Tuttavia solo due anni dopo quella corrispondenza sulla
via Palermo-Treia e ritorno, e cioè nel 1885, Giovanni Mestica riuscì a
sciogliere tutti i suoi dubbi circa la dedica. Ma trascorsero altri
tredici anni prima che ne scrivesse su la Rivista d’Italia. A risolvere
il giallo fu Venanzo Broglio, figlio di Saverio funzionario del
Tribunale di Macerata, Saverio Broglio d’Ajano che aveva procurato pur
inconsapevolmente il passaporto al Leopardi per il tentativo di fuga nel
Lombardo-Veneto. Proprio Venanzo, “amicissimo” e collaboratore del
poeta, offrirà la testimonianza più sicura sul caso-dedica. Facciamo
ancora un salto in avanti, quando finalmente il Mestica, superati i
problemi postali, riesce finalmente a parlare con Piero Didimi,
insegnante nella scuola tecnica comunale, nipote del campionissimo. Il
quale raccontò d’aver avuto da giovane come insegnante l’anziano Venanzo
Broglio che gli aveva ricordato come lo zio Carlo era stato celebrato
da Giacomo in una ‘altissima’ poesia. Non solo a Recanati aveva visto
giocare Didimi. Una testimonianza che si avvaleva di uno scritto: a
Piero Didimi la questione della dedica era stata rivelata infatti dal
suo ex insegnante in una lettera di congratulazioni da lui ricevuta per
un successo scolastico. Insomma l’amico di Leopardi rivelava
inoppugnabilmente al nipote del campionissimo come Giacomo avesse
dedicato a questi la sua ormai celebre Canzone. La via familiare, così
tradizionale nella cultura marchigiana, aveva aperto la luce sul più
controverso giallo nella storia della poesia mondiale. “Venanzo Broglio è
l’autentico illustratore del canto di Giacomo Leopardi” scriverà
Giovanni Mestica che proprio nel 1898, nel primo centenario leopardiano,
a Recanati, rivela ufficialmente la sua scoperta che poi pubblicherà
sulla Rivista d’Italia. “Chi credesse che ‘il garzon ben nato’,
vincitore nel gioco del pallone, sia una persona inventata dal poeta,
sarebbe in errore”. E così sia! Eppure come in tutti i gialli che si
rispettino, c’è un finale a sorpresa dove emerge un grande campione,
testimonial del Risorgimento. Scrive infatti Meriggi: “Quando nel 1821
Leopardi scrisse la Canzone era ancora sconosciuto e cercava una gloria
lenta a venire mentre già abbastanza conosciuto e famoso era Carlo
Didimi. Leopardi scrisse quei versi per lanciare messaggi ben precisi,
esortazioni soprattutto ai giovani d’Italia ai quali non poteva additare
come esempio da seguire un personaggio che incarnava valori tanto
importanti ma che di fatto come non esisteva realmente. Leopardi aveva
bisogno di un uomo immagine e questi non poteva che essere Carlo Didimi,
il più acclamato dalle folle di allora. A me dunque pare che all’inizio
Leopardi avesse bisogno di Didimi per utilizzarlo come cassa di
risonanza, affidandogli la propria immagine. Più tardi, quando la
luminosità dell’astro del campione, per l’età si affievolì, Leopardi con
la sua Canzone trascinò Didimi verso l’immortalità”. |
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20/02/2018 07:48:38 |
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